HOMEPAGE
ESTERNI CASTELLO
INTERNI CASTELLO
STORIA
PROPRIETARI NEI SECOLI
DOVE SIAMO
LINK
BIBLIOGRAFIA
AFFITTO APPARTAMENTI
Rare sono le notizie rimaste nella millenaria storia del Castello, ricordi che si intrecciano indissolubilmente nelle vicende dell’abitato contiguo.
Probabilmente le origini possono rifarsi alla via Francigena di grande importanza nel IX-X secolo, come strada per i pellegrini che dalla Inghilterra, dalla Germania e dalla Francia si recavano a Roma. Il luogo abitato posto in cima alle montagne, poteva segnare l’attimo di sosta e di riposo dopo la salita, prima di iniziare la discesa verso la pianura e le città.
La denominazione che compare più frequentemente nelle antiche mappe o carte topografiche e negli archivi riguardanti il centro è di “TRIVINANO”, forse ad indicare il trivio poco distante da esso, nell’incontro di tre strade antiche: la “Perugina”, verso Perugia, la strada per Orvieto e quella per Acquapendente, quindi il lago di Bolsena, la via Cassia e Roma. Altra ipotesi è che il nome provenga da una ben più antica denominazione etrusca. Sono stati infatti trovati nella zona insediamenti e reperti di tale civiltà.

Il primo cenno storico, certo, in cui compare il nome di “TRIVINANO” è una pergamena datata gennaio 1073 conservata nell’Archivio di Stato di Siena, riportata nel codice Diplomatico Amiatino. Si tratta di un atto di donazione con il quale un certo Amanzio assegna tutti i suoi beni al Monastero del SS. Salvatore sul Monte Amiata. Il documento fu redatto dal giudice Rallando nel Castello di Trevinano. Questo documento non fa capire per qual motivo esso sia stato scritto e compiuto proprio “in Castro de Trivinano”, rimane però, fuori dubbio che Trevinano era fiorente già nell’anno 1073 e che la sua origine risalga intorno all’anno 1000, se non prima, come baluardo a difesa della via Francigena, o per accogliere i pellegrini. Il castello dominava le vallate del fiume Paglia e del Monte Rufeno e costituiva un avamposto fortificato del territorio di Orvieto.

Nel 1187 a seguito di una delle varie guerre tra Orvieto ed Acquapendente nel trattato di pace fu deciso che “si rendesse Trivinano ai figli di Sinibaldo Visconte di Campiglia”. Così il castello di Trevinano ritornava ad appartenere ai Visconti di Campiglia che già ne dovevano essere padroni prima della guerra del XII secolo. Dai ruderi dislocati su alcuni rilievi collinari nei dintorni del paese e dai toponimi della zona che ricordano tale famiglia, si può arguire che i Visconti avessero costruito una serie di fortezze a difesa del territorio, mentre la residenza signorile, fortificata ed all’interno delle mura dell’abitato, corrispondeva alla parte più antica del castello che si erge a baluardo difensivo all’estremità nord orientale della cinta muraria, dominando la sottostante vallata e proteggendo la porta detta appunto del Castello o di S.Lorenzo, che dava accesso alle case del piccolo borgo di Trevinano.
La famiglia dei Visconti di Campiglia, discendente degli Aldobrandeschi, apparteneva alla nobiltà orvietana, per cui riconosceva la sovranità del Comune di Orvieto sui suoi feudi. Questo comportava la presenza costante di una guarnigione di soldati Orvietani nel Castello di Trevinano, allo scopo di difendere questa fortificazione, ai confini del territorio controllato dal Comune, contro gli attacchi dei nemici di turno. Nel 1234 Siena tentò di espugnare il Castello senza riuscirvi. Nel 1325 in seguito al trattato di pace tra Orvieto ed i Signori di Monte Vitozzo si apprende, dalla stipula del contratto, del risarcimento di danni arrecati a Trevinano durante gli scontri avvenuti negli anni precedenti.

Quando nel 1327 Latina dei Visconti di Campiglia sposò Corrado Monaldeschi, figlio di Ermanno che dal 1334 fu Signore di Orvieto, il Castello e metà del territorio trevinanese passarono, in dote, ai Monaldeschi, i quali, più tardi, con Luca acquistarono anche il restante territorio. Corrado Monaldeschi, figlio maggiore di Ermanno, per aiutare il padre nella conquista del potere a Orvieto, non aveva dimostrato tanti scrupoli: fu infatti, tra l’altro, esecutore materiale dell’uccisione di Napoleuccio Monaldeschi del Cane.
Alla morte di Ermanno, Signore di Orvieto, nel 1337 la famiglia si divise in quattro rami ed i possedimenti di Trevinano andarono al ramo dei Monaldeschi della Cervara, come è possibile vedere tutt’oggi dai vari stemmi presenti nel Castello (Sul portale principale ve ne è uno,in pietra con la scritta MONALDO, un altro reca le iniziali di Pier Giacomo, in entrambi l’arme è sormontata da un cimiero con cervo rampante; lo stesso animale appare unitamente ad una rosa sovrastante le corna in una scultura innalzata in cima ad una delle due torri, così come appare impresso nelle pianelle in cotto di un soffitto in una sala interna del maniero). La “Cervara” era il territorio boscoso del feudo, popolato di cervi, che si estendeva da Torre Alfina a Radicofani.
Le lotte che insanguinarono le quattro fazioni o rami in cui si era divisa la famiglia dei Monaldeschi portarono all’abbattimento di molti edifici di loro proprietà. Anche il Castello di Trevinano dovette subire demolizioni ed infatti, il 20 dicembre 1347 il Comune Orvietano faceva registrare le spese per la distruzione di parte del Castello, probabilmente in corrispondenza della zona più orientale.
I Monaldeschi della Cervara restarono,anche se con vari contrasti, proprietari di Trevinano fino agli ultimi anni del sec. XVI, continuando ad eseguire lavori di ammodernamento della loro residenza. Rinascimentale appare, infatti, l’attuale veste architettonica del castello, sempre più trasformato in palazzo signorile, ma anche l’apparato difensivo con le due torri bastionate angolari di nord-est, idonee alla difesa radente, denunciano un adeguamento militare posteriore all’avvento delle armi da fuoco.
Nel 1592 Gianfrancesco Monaldeschi della Cervara fu ritenuto colpevole di aver dato ospitalità a briganti e ribelli della Chiesa, per ritorsione, il Pontefice Clemente VIII gli confiscò la metà delle proprietà trevinanesi a favore della Camera Apostolica. Pochi anni dopo, il 26 giugno 1598, il Vescovo di Orvieto, Cardinal Giacomo Simoncelli, acquistava l’altra metà del territorio. Agli eredi Monaldeschi dovette, comunque restare un quarto delle originarie proprietà.

Durante il XVII sec. Si ha notizia di un nuovo attacco alle mura di Trevinano da parte delle truppe del Duca di Parma e Piacenza Odoardo Farnese, deciso a riprendersi il Ducato di Castro che gli era stato occupato da Urbano VIII Barberini. Le cronache raccontano di una strenua difesa effettuata soprattutto dalle donne del paese, essendo gli uomini al lavoro nei campi. Fu un assedio che, grazie alla naturale posizione del borgo cinto da mura con torrioni circolari, oggi scomparsi, ebbe successo sulle truppe farnesiane, molto meglio armate, che oltretutto contarono varie perdite sotto gli spalti.
Una pianta del 1643 disegnata da Pietro Paolo Drei, inviato al seguito dell’ingegnere militare pontificio Cardinale Maculano, con l’intento di apportare migliorie alla cinta muraria subito dopo l’attacco dei soldati del Farnese, mostra il Castello già trasformato in palazzo e con i due torrioni angolari, baluardati, come li vediamo ancora oggi. La porta settentrionale, laterale del castello era stata adibita ad unico ingresso del palazzo come all’intero paese, mentre quella vicina di S.Lorenzo era stata “terrapienata” e fortificata esternamente perché evidentemente ritenuta meno sicura. Cinque torrioni circolari sporgevano dalle mura settentrionali ed occidentali e proprio in questa zona, ritenuta più debole, era avvenuto l’attacco farnesiano. Si provvide, quindi a dotarla di un fossato con strada coperta e spalti anteposti alle vecchie muraglie.

Nel 1687 la Camera Apostolica, dopo aver confiscato dal 1592 la metà del territorio trevinanese, ricostituì l’unità territoriale acquistando anche la metà passata ai Simoncelli. Il territorio riunificato fu dato in feudo ed in parte venduto al Marchese Gian Mattia Bourbon del Monte che avrebbe vantato, poi i diritti ereditari dei Monaldeschi, in quanto l’ultima del ramo della Cervara: Anna Maria, figlia di Monaldo, aveva sposato il 22 aprile 1699 Gian Mattia (14.11. 1657–1709). La vedova sopravvisse fino al 1765 e morì a Roma. Il matrimonio fu patrocinato dalla Regina Cristina di Svezia di cui Gian Mattia era “Gentiluomo”, mentre il padre Orazio, era “Gran Scudiero”, confidente, ed esecutore testamentario.

La dominazione dei Bourbon del Monte (con il titolo di Barone di Trevinano) arrivò intatta fino alla fine del XIX sec. Quando il Marchese Guidobaldo vendette al Marchese Caen il disastrato castello di Torre Alfina. Il caminetto del salone centrale con i tre gigli d’oro e brisura su fondo blu dei Bourbon del Monte fu trasportato da Torre Alfina e ricostruito, a ricordo di tale vendita,nel salone principale del Castello. Il marchese Pompeo, (nato a Roma il13.12.1683 e morto a Torre Alfina il 5.1.1747) figlio di Anna Maria e di Gian Mattia sposò a sua volta Anna Rosa di Paolo Antonio Monaldeschi di Orvieto anche essa erede della sua famiglia, morta il 13.9.1742.
Il primo Bourbon del Monte insediatosi a Trevinano, come già detto, fu il Marchese Gian Mattia, che aveva il diritto di “patronato” sulla Chiesa parrocchiale, già concesso da Papa Pio IV ai Monaldeschi, con il diritto di presentare al Vescovo il nuovo parroco e l’obbligo di provvedere, a proprie spese, al mantenimento della parrocchia. Aveva anche il diritto di presentare ogni anno al Vescovo, d’intesa con il Consiglio della Comunità, il predicatore della Quaresima al quale passava il compenso dovuto.
Ecco, l’elenco dei titoli con i quali si fregiava il Marchese Paolo Antonio Bourbon del Monte nel 1790: “Marchese di Monte S. Maria, Lippiano, Marzana, Gioiello, Torri, Patena e suoi annessi, Conte di Mealla e Monte Fiore, Barone di Trevinano”.
I Bourbon del Monte, avendo così tante possibilità di scelta non risiedevano abitualmente a Trevinano, e solo raramente si recavano per vedere l’operato del loro amministratore ( un “ministro” e un “giudice”, cioè fattore e guardiano) ed a riscuotere oltre ai proventi delle terre anche mezzo scudo per ogni famiglia, come segno di dominio.
Gli estesi boschi di quercia e cerro che circondano Trevinano hanno costituito lungo i secoli una grande fonte, inesauribile, di guadagno per i proprietari e di continuo e sicuro, anche se faticoso, lavoro per i braccianti. In soli tre anni dal 1824 al 1827 nella selva del marchese furono tagliate ben 17.000 alberi!
Il Canonico di S. Pietro, marchese Arimberto Bourbon del Monte mostrò più di ogni altro l’interesse per Trevinano. Verso la metà del ‘700 provvide ad abbellire la Chiesa, con corredo di arredi e paramenti. Nel 1744 istituì il “Monte Frumentario” a vantaggio delle famiglie in difficoltà economiche. I Monti Frumentari erano, praticamente, una variante dei Monti di Pietà, che ebbero molta diffusione ed importanza a partire dal sec. XIV in poi. Presenti in tutta Europa, concedevano alle classi più povere prestiti in pegno a condizioni vantaggiose ed evitavano il disperato ricorso ad usurai, in tempi del tutto privi di assistenza sociale.
Iniziò con una assegnazione iniziale di dieci rubbie di grano e la concessione di un locale ad uso magazzino, in compenso a spese del “Mons Frumentatius” venivano fatte celebrare ogni anno tre SS. Messe in suffragio del fondatore e dei suoi eredi. I prestiti venivano effettuati concedendo due staja di grano rasi, contro uno raso ed uno colmo alla restituzione. Il grano doveva essere “sconcio”, cioè vagliato.
Il Monte era amministrato dalla Comunità, e per essa dai suoi Priori, i quali eleggevano un incaricato chiamato “Montista”, da scegliersi ogni anno, ad ottobre dal “bussolo”, cioè tirato a sorte. Il Montista doveva prendere in consegna il magazzino, fare le distribuzioni e ricevere le restituzioni, tenendone esatto conto. In compenso riceveva due staja di grano. Alla fine di ogni anno doveva presentare il resoconto ai Priori della Comunità i quali lo sottoponevano al Marchese per l’approvazione. I prestiti dovevano essere effettuati solo a vantaggio degli abitanti di Trevinano e del territorio, con appropriata sicurezza o pegno. In caso negativo il Montista ne avrebbe risposto in proprio. Se il deposito avesse superato le dieci rubbie di grano, la Comunità poteva vendere il restante, previo assenso del Marchese, impiegando il ricavato per estinzione di debiti o per altro interesse della Comunità.
Le chiavi del “deposito” erano due: una in mano del “Montista”, l’altra in quelle del “Ministro” del Marchese che doveva essere presente alla consegna dei prestiti effettuati, di solito, la Domenica di Passione di ogni anno. Per ogni controversia doveva essere informato il Marchese alle cui decisioni tutti dovevano sottostare. Nel 1792 furono trovati 27 rubbie e 5 staje di grano, parte in magazzino e parte date in prestito. Nel 1808 il deposito era di 100 staie di grano. Nel 1819 l’economo del marchese annota nei libri mastri che i debitori, in seguito ad annate assai critiche, non erano stati in grado di restituire quanto loro prestato, ma per l’avvenire…”si sarebbe ritornati al tradizionale interesse e regole di restituzione”. L’attività del Monte Frumentario continuò per quasi tutto il secolo XIX.

Le proprietà di Trevinano qualche anno dopo la fine del Congresso di Vienna (1815) rischiarono già di essere assegnate ai Boncompagni Ludovisi.
Nell’art.100 dell’Atto finale del Congresso, che trattava della sistemazione della Toscana, si parlava di tre stati feudali fino allora indipendenti e sovrani esistenti in quel territorio: il più importante era il Principato Sovrano di Piombino e dell’ Isola d’Elba, con le isole di Montecristo, Pianosa, le Formiche e l’entroterra con la costa prospiciente le isole, con Buriano, Scarlino, Populonia, Alma Mater ecc. di proprietà dei Principi Boncompagni Ludovisi.
I beni demaniali furono venduti al Granduca di Toscana con indennizzo pecuniario garantito dalla Corte Imperiale Austriaca. Nell’indennizzo dovevano essere comprese anche le rendite non percepite dal Principe durante la occupazione napoleonica. L’Imperatore d’Austria voleva aiutare il fratello, il Granduca, ad eliminare una spina nel fianco del suo Stato. Piombino era Signoria Sovrana di infeudazione imperiale, indipendente dal 1300, poi eretta in Principato alla fine del ‘500.
Da sempre i Granduchi lo volevano per sé. La posizione strategica favoriva il controllo del passaggio delle navi e delle merci che dal nord transitavano al sud d’Italia. Il Granducato doveva pagare ai Principi Sovrani di quello Stato una enorme cifra in denaro in compenso dei beni demaniali più l’indennizzo totale delle rendite non percepite. Il Principato era così importante che quando ne fu investito, Nicolò Ludovisi dovette pagare alla Camera imperiale ben 1.050.000 fiorini d’oro!
Fu concordato che il pagamento doveva avvenire parte in contante e parte con beni immobili, tenute o palazzi situati nel territorio della Chiesa. Il Granduca cercò fra i suoi sudditi quelli che avevano beni nel Lazio (indennizzare un suddito sarebbe meno oneroso che comperare sul mercato!) e fra le varie tenute offerse anche quella di Trevinano che non fu considerata di interesse dal Principe Luigi Boncompagni Ludovisi, ultimo Sovrano effettivamente regnante. Negli accordi presi dai plenipotenziari del Principe di Piombino con il Granducato, l’Impero, la Prussia, il Cardinale Consalvi, l’Impero Russo, la Baviera ecc. il Principe Boncompagni Ludovisi mantenne per sé ed i suoi discendenti primogeniti il titolo di Principe di Piombino e riservò per sé e per tutti i suoi discendenti maschi e femmine il rango e le prerogative di Capo di Casa ex Sovrana e Principesca nell’ambito del Sacro Romano Impero. (Nell’esercizio della Sovranità il Principe di Piombino poteva creare Nobiltà, Cavalieri Aurati, Notai, coniare monete d’oro, argento e bronzo, utilizzare la corona regia d’oro sul suo stemma di famiglia, votare alla Dieta dell’Impero ecc.)

L’articolo 100 del Congresso di Vienna prevedeva anche l’annessione, senza rimborso, di altri due stati feudali Sovrani di origine Imperiale: Il Marchesato Sovrano di Monte Santa Maria dei Bourbon del Monte e la Contea di Monteauto il cui castello fu poi comperato nel sec. XIX dai Boncompagni Ludovisi. È questo un caso più unico che raro! Tutti e tre gli Stati avevano a che fare con la storia della famiglia Boncompagni.

Le proprietà con il castello di Trevinano rimasero, così, in casa Bourbon del Monte fino al 1910 data del matrimonio della Marchesa Stephanie Bourbon del Monte di S. Maria, ultima erede del ramo di Firenze, con il Principe Paolo Boncompagni Ludovisi. Alla fine della seconda guerra mondiale, i coniugi Stephanie e Paolo ritennero opportuno smembrare l’ingente patrimonio familiare fra i loro sette figli. Si pensava che la riforma agraria potesse espropriare i grandi ed estesi patrimoni terrieri come era già avvenuto con i cugini Borghese in Maremma e con i cugini Boncompagni con i quasi 5000 ettari espropriati nella Tenuta di Pescia Romana.

La tenuta di circa 3000 ettari ed il Castello di Trevinano furono assegnati alle figlie Ippolita, poi Contessa Naselli dei Duchi di Gela, ed alla Principessa Agnese Boncompagni Ludovisi. Che crearono due differenti tenute ed amministrazioni: la “Tenuta Elvella “ alla Contessa Ippolita, la “Tenuta della Monaldesca” alla Principessa Agnese. Anche il castello fu diviso in due parti, il piano terra ad Ippolita ed i due piani superiori ad Agnese.
Agnese nel 2001 comperò dalla sorella la sua parte del Castello in maniera da riunificate l’intera Rocca in un’unica persona. Alla sua morte il 25 agosto 2003 lasciò le proprietà di Trevinano che le erano rimaste al nipote Principe Paolo Francesco Boncompagni Ludovisi, Cav. Di Gran Croce d’Onore e Devozione in Obbedienza del Sovrano Militare Ordine di Malta, figlio del fratello Arimberto, che è l’attuale proprietario del Castello e dell’annessa Chiesa cinquecentesca di S. Rocco.

CHIESA DI S.ROCCO La prima notizia di questa Chiesa ci viene fornita da un documento del 1586, dove viene elencata fra le Chiese esistenti “fuori di Trevinano”. Possedeva uno “ staro di terra” ed una piccola vigna. Il pietrame di costruzione e l’architrave sono del sec. XV ma sembra che la costruzione risalga, con pietrame preesistente verso la metà del ‘500. Dalla relazione della visita pastorale del 1589 effettuata dal Vescovo di Chiusi, Monsignor Bardi (fino al 1600 la parrocchia di Trevinano dipendeva dal vescovato di Chiusi), questa Chiesa indicata con il nome di “S.Maria di S.Rocco”, è indicata come costruita dai fratelli Monaldeschi della Cervara, feudatari di Trevinano, i quali ne erano anche “Patroni” con il diritto di scegliere per essa il cappellano. Il loro stemma è ancora visibile sull’architrave del portale d’ingresso.
Già nel 1606 si sentiva il bisogno di premunirsi dai ladri: il Vescovo della Città della Pieve sotto la giurisdizione del quale era passata la Chiesa, ordinò che si facesse una nuova chiave e la chiesa restasse aperta solo in determinate ore del giorno, e gli ex-voto, conservati in apposita teca.
Molto dettagliata è la relazione della Visita pastorale effettuata il 2 ottobre 1732 dal Vescovo Monsignor Alberici: “il corpo della Chiesa, coperto a tetto è distinto da un arco dalla parte a forma di Cappella coperta a volta,con le pareti tutte dipinte con i sacri misteri, e in mezzo vi è l’altare con l’immagine della Beata Vergine con S.Rocco e S. Sebastiano, contornata da un ornamento in gesso dorato. Non si sa quando la chiesa fosse stata pitturata perché le figure afresco sono completamente scomparse forse scrostate o forse coperte di calce, rimangono solo le figure di S.Rocco e S.Sebastiano con un crocifisso deturpate e quasi completamente scomparse. Dal poco rimasto si deduce che erano affreschi di buona mano con influenze umbro-senesi della metà del ‘500. L’affresco è stato restaurato nel 1993-94. accanto alla Chiesa vi era una casa di quattro stanze di cui non rimane alcuna traccia. Il cappellano godeva dei frutti del campo vicino alla Chiesa che fruttava 20 paoli nel 1819, possedeva anche un censo di 12 scudi su una casa dentro il paese a carico degli eredi Ciuchi, non registrato. Tutte le proprietà di questa Chiesa e delle altre Chiese e cappelle nel 1833 passarono in proprietà dei Marchesi Bourbon del Monte che in cambio si impegnarono a restaurarle ed a mantenerle. La Chiesa ebbe un restauro alla fine del secolo XIX. In seguito al crollo della Chiesa di S.Antonio Abate fu trasferito qui il culto e la benedizione degli animali che avveniva il 17 gennaio, giorno del Santo.
Quando fu realizzata la nuova strada (quella antica saliva direttamente verso la porta S. Lorenzo), sotto il castello, si dovette abbassare il terreno di fronte all’ingresso e si dovette allora abbassare e spostare il portale, togliere i tre gradini e ripianare lo spazio vuoto sopra l’architrave con mattoni. Così le due finestrelle laterali al portone di ingresso risultano attualmente assai alte, mentre prima erano accessibili dall’esterno. Fino al 1958, a memoria d’uomo si celebrava solo la festa di S.Antonio Abate poi definitivamente chiusa al culto ed abbandonata. Le tele degli altari, l’acquasantiera in pietra con lo stemma Bourbon del monte e la antichissima campana furono trasportate al Castello
E poi trasferite altrove o rubate. Ora viene celebrata anche la ricorrenza di S. Rocco il 16 agosto, e per consuetudine nel pomeriggio viene aperto al pubblico il parco del Castello per un concerto od una manifestazione culturale.
La Chiesa è stata completamente restaurata dalla Principessa Agnese Boncompagni Ludovisi nel 1994 e riaperta al culto ed all’interno, per suo desiderio, vi sono le sue ceneri.

Per il cenno storico si è fatto particolare riferimento al volume di Don Giovanni Mai: “Trevinano e la sua Storia Millenaria” Acquapendente 1989 ed a quello in corso di pubblicazione di Paolo Francesco Boncompagni Ludovisi :”Storia ed Iconografia della Famiglia Boncompagni Ludovisi”.
Documento del 1073 (Siena, Archivio di Stato, aut. n° 131)
Pergamena conservata nell’Archivio di Stato di Siena, già appartenente al Monastero del SS. Salvatore sul Monte Amiata. È questo il più antico documento su cui compare il nome di Trevinano (Castrum Trivinani), e reca la data di gennaio 1073.