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I VISCONTI DI CAMPIGLIA (1000 ?-1327)
I Visconti di Campiglia discendevano dagli Aldobrandeschi, la grande famiglia che intorno all’anno 1000 era riuscita ad assicurarsi un vasto dominio, esteso dalle pendici boscose del Monte Amiata a tutta la Maremma Toscana, dalla Valle dell’Orcia e del Paglia alla Val di Lago. Il Dominio degli Aldobrandeschi già diviso nei due rami di Santa Fiora e di Sovana si andò rapidamente sgretolando quando ciascuno dei numerosi discendenti si insediò come feudatario in qualcuno dei tanti Castelli della zona, prendendo da esso nome: i Visconti di Campiglia, i Conti di Chiusi, di Cetona, di Chianciano, di Sarteano, i Bisenzi, i Baschi, i Vitozzo, i Manenti. Tutti costoro, discendenti degli Aldobrandeschi, dovevano accettare la dipendenza dai potenti Abati dell’Abbadia del SS. Salvatore, prima e da Orvieto, poi.
Monaldo Monaldeschi della Cervara nei suoi “Comentari historici” asserisce: ”Li Vicecomites (=Visconti) di Campiglia… ebbero dominio molto tempo sopra S.Casciano dei Bagni, Celle, Radicofani,e Trevinano, et altri luoghi; ora tale famiglia è estinta e mancata affatto”. Essi appartenevano alla nobiltà orvietana e riconoscevano la sovranità di questo Comune sui loro feudi. Pagavano ogni anno censi, tributi ed avevano obblighi. Per Trevinano dovevano corrispondere ogni anno dieci libbre di cera e due cavalli. La cera veniva data alla Cattedrale ed i cavalli servivano per la guerra. La consegna avveniva la vigilia dell’Assunta, il 14 agosto. Nel 1234 i senesi che si erano già impadroniti di di S.Casciano e Fichine, tentarono di impadronirsi anche di Trevinano, ma non vi riuscirono, ed i Visconti di Campiglia seguitarono a dominarvi per altri cento anni circa. Una guarnigione di dieci soldati orvietani era presente costantemente nel castello per difenderlo dalle incursioni di nemici e predoni.
Nei momento di maggior pericolo venivano inviati rinforzi da Orvieto. Nell’anno 1229 in una delle tante guerre fra i Comuni e le fazioni, Monaldo di Pietro Monaldeschi restò prigionieri dei Senesi a Sarteano. Per di più nello stesso anno Siena inviò il Capitano Matthia Castani di Anagni con 300 cavalli e fanteria di tedeschi. Partendo da Siena questo piccolo esercito passò per la Val d’Orcia, quindi per Trevinano, Villalba, Allerona, raggiunse la piana di Orvieto, dove le truppe si diedero al saccheggio, mettendo a ferro ed a fuoco le campagne.
Nel 1300, in occasione del primo Giubileo indetto da Papa Bonifacio VIII, il Comune di Orvieto inviò a Roma la propria cavalleria comunale e molti fanti a guardia della città e del Papa stesso. Tra questi fanti ve ne erano 20 di Trevinano, 20 di S.Casciano, 50 di Allerona, 100 di Ficulle, 20 di Torre Alfina, ecc. Nell’anno 1304 il comuna di Orvieto ordinò che i Signori di Campiglia e di Trevinano contribuissero a fornire un certo numero di soldati per la guardia al Vicario dello stesso comune inviato nel contado Aldobrandeschì di S.Fiora.
I Visconti di Campiglia avevano in Trevinano un loro palazzo che corrispondeva alla parte più antica dell’attuale Castello. Nell’anno 1325 il comune firmò un trattato con i Signori di Monte Vitozzo per restituire la libertà (sotto la giurisdizione di Orvieto) alla Rocchetta di Fazio ed a Trevinano: “ che tutte le persone…e le carte che sono di lui (=Coluccino di Vitozzo) e Ceccarello, a figlioli di Salinguerra de la Rocchetta e di Trivinano si rimettano, e ciascheduno ritorni in possessione del suo”. Si ordinava anche di risarcire gli eventuali danni alla Rocchetta ed a Trevinano durante i disordini avvenuti negli anni precedenti (Codice Diplomatico, pag.457).

I MONALDESCHI DELLA CERVARA (1327-1592)
I Monaldeschi erano una antichissima e nobile famiglia di Orvieto, da sempre in antagonismo,per il predominio sulla città, con l’altrettanto famosa casata dei Filippeschi , con alterne fortune e con terribili vicende di uccisioni e reciproche devastazioni. Nell’anno 1212, Monaldeschi e Filippeschi si levarono in arme e vennero a battaglia aperta: ne seguirono stragi e distruzioni incredibili, e così per più di un secolo queste due famiglie continuarono a combattersi sia per avere il potere politico in città, che per il predominio sui castelli e terreni della zona. Dante Alighieri ricorda questa sanguinosa, continua, discordia come esempio di disordine e di anarchia in quei periodi in Italia, quando l’autorità dell’ Imperatore era solamente teorica ed i liberi comuni, passati poi in mano di vari Signori, si logoravano a vicenda in interminabili e perpetui conflitti:

“Vieni a veder Montecchi e Cappelletti,
Monaldi e Filippeschi, uom senza cura:
color già tristi, e costor con sospetti”

I Monaldeschi facevano derivare la loro famiglia da un nobile feudatario francese venuto in Italia al seguito di Carlo Magno nell’anno 800. Costui, di nome Monaldo, avrebbe dato origine ai Monaldeschi, mentre altri tre suoi fratelli sarebbero stati i capostipiti di altrettante nobili famiglie fiorentine e senesi: i Cavalcanti, i Calvi ed i Malevolti.
Il più famoso dei Monaldeschi fu certamente Ermanno, che dal 1334 al 1337 fu praticamente Signore assoluto di Orvieto, dimostrando in quei pochi anni una grande capacità diplomatica ed organizzativa, con abolizione, però della libertà e degli ordinamenti democratici. Alla morte di Ermanno la famiglia si divise in quattro rami : Monaldeschi del Cervo (della Cervara), Monaldeschi del Cane, Monaldeschi della Vipera e Monaldeschi dell’Aquila. Ognuna di queste famiglie portava la figura di uno di questi animali sul proprio stemma o meglio nel cimiero, e si odiavano e si lottavano reciprocamente.Lo stemma comune ai quattro rami era di azzurro a tre rastrelli trasversali d’oro. Sopra lo scudo i Cervara posero, quindi, la testa di un cervo.
Nello stesso anno della morte di Ermanno Monaldeschi (1337) in Orvieto si verificarono gravi disordini, e, come era avvenuto nel 1313 dopo la battaglia vinta dai Monaldeschi, guelfi, a danno dei Filippeschi, ghibellini, si procedette alla demolizione di case, castelli, torri, palazzi già appartenuti ai Monaldeschi. Il 24 settembre 1347 fu emanato dal Comune di Orvieto un decreto per porre fine a queste devastazioni, tuttavia il 20 dicembre dello stesso anno si trova registrata a carico del Comune una spesa “pro dirimendo turrim que olim fuit Archipresbyteri et palatium Viscontis de Trivinano” (Cod. Dipl. pag.757). I soldati orvietani demolirono la parte di levante del Castello.
I Monaldeschi, ormai padroni quasi incontrastati di tutto l’orvietano fino a Montalto, Orbetello, e l’isola del Giglio, divisi ormai anche tra loro, si combattevano e dilaniavano crudelmente per motivi di interesse. Non sappiamo se anche nel nostro Castello si verificarono le nefandezze di cui si parla nei confronti di Torre Alfina, anche essa dominio della Cervara. Nel giugno 1351, per esempio, essi fecero catturare un poveraccio della fazione della Vipera e lo uccisero nei sotterranei del castello di Torre Alfina in maniera atroce: il suo corpo fu ridotto in pezzi così piccoli “che se ne saria fatto beccata per il falcone”. Le stragi reciproche proseguirono per tutto il secolo, alla fine del 1300 due giovani del ramo della Cervara decisero di prendersi in moglie due belle ragazze di parte avversa; e… senza tanti complimenti i loro parenti Luca e Corrado Monaldeschi della Cervara li fecero trucidare nel Castello di Torre Alfina.
Anche le liti fra Acquapendente ed Orvieto erano frequenti, e qualche volta Trevinano ne faceva le spese. Nel 1406 gli aquesani, dopo la morte del Papa, presero Monte Rufeno e S.Pietro Aquaeortus, bruciarono Marzapalo e fecero danno a Trevinano. Nel 1442 Aluisi Monaldeschi della Cervara si vide occupare il suo feudo di Torre Alfina dal capitano di ventura Ciarpellone, agli ordini di Francesco Sforza (poi Duca di Milano), e dovette pagare mille ducati d’oro per riavere i suoi beni. Le cose andarono meglio, sembra, con suo figlio Luca. Il castello venne restaurato ed abbellito secondo le esigenze rinascimentali, furono disboscati i terreni migliori e costruite molte case coloniche.
Nell’anno 1520 furono riveduti e definiti i confini con Proceno, essendo sorte questioni tra Camillo Monaldeschi e quella comunità. E toccò a lui affrontare una difficile situazione, nel 1527, l’anno del “sacco di Roma” quando l’esercito di Carlo V in lotta con Francesco I per il predominio dell’ Italia, attraversò la nostra penisola seminando ovunque morte e distruzione. Il suo esercito era composto da 13.000 tedeschi luterani, i Lanzichenecchi, oltre a soldati spagnoli ed avventurieri. Tra questi ultimi vi erano le fanterie di Fabrizio Maramaldo, rimasto tristemente famoso nella storia per aver infierito su Francesco Ferrucci morente, nella battaglia di Gavinana: "Vile! Tu uccidi un uomo morto!" La famigerata armata tedesca devastò la zona con rapine e saccheggi Proceno, S.Lorenzo, e Grotte di Castro furono pesantemente colpite. Acquapendente si era salvata attraverso trattative e donazioni di vettovaglie ai soldati. Mentre il grosso dell’armata depredava Roma, soldati di Maramaldo imperversarono nella zona distruggendo le campagne dell’Alfina,forse istigati proprio dai Vitozzi per far dispetto ai Monaldeschi, loro avversari. Assetati di sangue assediarono Torre Alfina. Camillo Monaldeschi seppe organizzare bene la resistenza, portando da Trevinano un gruppo di uomini bene armati, per aiutare i Torresi alla resistenza, e così il castello potè resistere all’assalto. Racconta un cronista:”gli abitanti di Torre Alfina, essendo gente per se stessa bellicosa, si opposero coraggiosamente a Maramaldo ed a tutti i suoi soldati per forti che fossero. La loro difesa fu sì ben diretta e "tanti colpi diedero dal cassero e nelle loro sortite, che alla fine gli assedianti se ne partirono pieni di furore e di rabbia, non men che di obbrobrio e di scorno”. Sfogarono quindi la loro collera rabbiosa contro Onano anche essa posseduta dai Monaldeschi della Cervara e contro la sua numerosa popolazione. L a sorte di Onano fu ben diversa da quella di Torre Alfina. Preso a viva forza fu brutalmente saccheggiato e bruciato con strage degli abitanti, uccisioni, ruberie e crudeltà di ogni genere.
Passato il ciclone dei lanzichenecchi, Camillo Monaldeschi si dedicò al governo dei suoi vasti feudi. Nel 1537 sorsero contrasti fra lui e la Comunità di Acquapendente e furono definiti i confini dei rispettivi territori.
Il feudo di Trevinano fu confermato a Camillo Monaldeschi da Papa Paolo III nell’anno 1548.
Il suo successore Pio IV, nel 1621 con un suo “breve” riconobbe la dipendenza di Trevinano da Orvieto: Da questa data ha inizio una lite giuridica che si protrarrà per più di 200 anni.
I trevinanesi tentarono ripetutamente di sottrarsi alla soggezione ad Orvieto e cercarono di rifiutare i geometri inviati da Orvieto per misurare i terreni per il Catasto del proprio territorio e non accettarono di pagare le tasse agli esattori di Orvieto. Della questione dovette occuparsene il giovanissimo Cardinale San Carlo Borromeo, nipote del Papa e già nominato Arcivescovo di Milano, il quale in data 17 dic 1561 scrisse da Roma al Governatore di Orvieto, comunicandogli il reclamo dei Monaldeschi ed ordinando di far eseguire la misurazione del territorio di Trevinano,ma solo come “Commissario particolare di Nostro Signore”, cioè del Papa, senza pregiudizio per i diritti dei Signori feudatari. Il 30 maggio 1566, dopo cinque anni dal breve di Papa Pio IV una sentenza del giudice Monsignor Giuliano Pergolelli riconobbe i Conti della Cervara veri e legittimi proprietari del Castello di Trevinano e suo territorio, con tutti i diritti e senza nessuna dipendenza da Orvieto. Nel 1562 lo stesso Papa Pio IV con una sua “Bolla” concesse ai tre fratelli Gian Giacomo, Monaldo, e Pier Francesco Monaldeschi dela Cervara il permesso di costruire la nuova Chiesa Parrocchiale in sostituzione di quella esistente, fatiscente, e con lo “jus patronatus”. lLa nuova Chiesa fu terminata nel 1577 a spese dei tre fratelli che la dotarono anche di rendite: “il podere del Prete” tuttora esistente. Costruirono altre tre “Chiese rurali” con relativa dote e la strada “Monaldesca” che unisce Trevinano con Allerona e la piana di Orvieto, a ricordo vi è ancora una casa colonica denominata “Monaldesca” dove allora esisteva all’incrocio con la strada “perugina”, un posto di dogana pontificia ed un osteria per i viandanti. Una delle tre “Chiese Rurali” la Chiesa di S.Rocco è tuttora officiata. Dopo qualche anno di abbandono fu interamente restaurata dalla principessa Agnese Boncompagni Ludovisi nel 1994. E’ situata ai piedi del Castello. In essa fra le altre vengono ricordate ufficialmente due date: il 17 gennaio con la benedizione degli animali nella ricorrenza di S. Antonio Abate.Viene portata in processione la statua del Santo custodita nella Chiesa e la Banda suona allegre musiche di festa. Per il 16 agosto, ricorrenza di San Rocco, oltre alle solenni funzioni religiose viene ospitato nel parco del castello un concerto di musica da camera ad ingresso libero od altra manifestazione culturale.
Nel 1592 Gianfrancesco Monaldeschi si trovò con grossi problemi; i Monaldeschi furono accusati e riconosciuti colpevoli di aver dato ricetto a ribelli e briganti. Papa Clemente VIII, confiscò a favore della camera Apostolica metà della tenuta , tre quarti della restante proprietà fu venduta al Cardinale Giacomo Simoncelli, Vescovo di Orvieto il 26 giugno 1598 per Atti del notaio Nallio di Orvieto. Forse i Monaldeschi non trovarono altro mezzo per pagare i loro debiti.Il possesso Simoncelli non durò che 30 anni! Cristofora Simoncelli, sorella del Cardinale, alla quale, lo stesso aveva regalato questa proprietà, sposò Luigi Miccinelli, portandogli in dote questa parte della tenuta (intorno alla zona di Castelluzzo), con tanto di autorizzazione di Papa Urbano VIII in data 14.12.1629.
Nello stesso anno i Monaldeschi sono ancora presenti: un quarto della tenuta era rimasta a loro.
Numerosi atti ufficiali vedono protagonisti i Monaldeschi nelle richieste di jus patronato o nel rifiuto di pagare al tesoriere di Orvieto una somma di 400 scudi per “aver già pagato, in parte, il loro debito”. L’ultima comparsa dei Monaldeschi si ha nel 1646 anche se parte della proprietà, ormai ridotta, sembra essere ancora in loro possesso.
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I BOURBON DEL MONTE, MARCHESI DEL MONTE SANTA MARIA (1687-1910)


Nell’anno 1687 la Camera Apostolica che era già proprietaria di una metà della tenuta in seguito alla confisca del 1592 acquistò un'altra parte della tenuta con atto notarile “Palietus” del 14 marzo, confermato il giorno seguente da un rescritto del Papa Innocenzo XI.
A questo punto entrano in scena i marchesi Bourbon del Monte i quali in parte acquistano ed in parte ottengono in feudo l’intero territorio ormai riunificato, con il solo obbligo di pagare alla Camera Apostolica una quota annua di 40 scudi romani, oltre la tassa camerale di 36 scudi e 90 baiocchi.
Varie sono le tesi sull’origine antichissima della famiglia. Ne parlano , fra gli altri, il Sansovino,Gamberti, Ciacconio, Soldani, Gamurrini. Per tradizione (ma nessun documento lo conferma ufficialmente) pare venisse in Italia con Carlo Magno avendo come progenitore Arimberto (o Atalberto) de Bourbon: È comunque certo che possedeva castelli ed immensi territori,furono Duchi di Spoleto e Marchesi di Toscana prima di Bonifacio, padre di Matilde di Canossa.
In origine era chiamata famiglia dei “Marchesi”,poi presero nome dai castelli posseduti: “del Monte” (dal Monte S.Maria), di Colle, e dai diversi rami; di Valiana, di Civitella, di Petriolo, di Sorbello ecc. come cita il Villani.
La prima volta che viene utilizzato il cognome Bourbon è solo nel XVI sec., un breve di Papa Gregorio XIII (Ugo Boncompagni) del 14 agosto 1581 dice: ”Dilecto nobis in Christo illustri viro D. Bartolomeo Bourbonio Marchioni Monti S. Mariae”. Lo spirito adulatorio del XVI secolo, probabilmente, spinse (con un accordo firmato da tutti i membri dei vari rami discendenti) ad aggiungere il “Bourbon” che nulla dava in più all’importanza di tale famiglia ed a cambiare lo stemma antico con quello dei tre gigli di Francia d’oro su campo azzurro attraversati da una fascia o da un bastone nodoso di colore rosso: Questo per ricongiungersi alla tradizione di famiglia che la voleva derivata da Arimberto de Bourbon.
Guidobaldo del Monte, insigne matematico ed il Cardinal del Monte (morto nel 1626) protettore del Caravaggio, non usarono mai tale nuova aggiunta, prova che il nuovo cognome non aveva ancora preso piede.Per curiosità, Angelo Ascani studiò la Storia della Famiglia nel libro “Monte S. Maria ed i suoi Marchesi” ed afferma che un primo diploma sarebbe quello di Carlo Magno (20 dicembre 801), del quale , però esistono solo copie che vanno dal sec. XVI al XVII. Altri diplomi di investiture sarebbero quelli di Federico II (873), di Berengario I (917), di Berengario ed Adalberto (961), di Federico I Barbarossa (1162-1163-1167), di Enrico VII (1312), anche essi riprodotti in copia e reperibili come tali nei vari archivi di famiglia.
L’unico diploma, sulla cui autenticità è impossibile avanzare dubbi fu e rimane quello di Carlo IV Imperatore, rilasciato a Pisa il 19 maggio 1355 ai marchesi Ugolino, Angelo, Guiduccio e Pietroso, però chiamati semplicemente “Marchionibus de Monte S. Mariae et Sacri Imperii fidelibus”.
Nel bollettino di Storia patria per l’Umbria (vol. XXXV, pagg 5-68) la professoressa Tullia Gasparrini Leporace cita una cronologia dei Duchi di Spoleto e delle rispettive mogli identici ai nomi di altrettanti marchesi e marchesi di Monte S. Maria, con una sola differenza. L’ autrice li fa marchesi di Camerino. Come spiegare questa omonimia perfetta, maschile e femminile, ed al tempo stesso questa diversità di giurisdizione? E’ un problema allettante! La prima volta che il nome di Camerino appare nelle biografie dei marchesi del Monte, avviene, secondo il Litta con Saraceno “marchese di Valiana e nel 1305 Capitano di Camerino”, qui siamo invece fra il 972 ed il 1090. Che un marchese Rigone fosse Signore di Cagli, risulta dai documenti,ma dopo il mille. Cagli, però non è Camerino.
In attesa di una possibile soluzione, si riporta qui, il parallelismo nel Litta e nella Gasparrini Leporace:
LITTA ( tav.1 )
GASPARRINI LEPORACE ( pag.50 )
(a Ranieri): genitore Conte GUIDO
nel 1960 fondò l’Abbazia di Petroio.
GUIDO Conte,capostipite dei Duchi Ugo e
Raniero I e II, Duchi di Spoleto e Marchesi di Camerino
RANIERI, Duca e Marchese di Toscana
(1014-1027), sposò Gualdrada.
RANIERO I, dal 1016 Marchese di Tuscia,
Sposò Gualdrada, indi N.N.
UGUCCIONE (1046-1059), Marchese,
ignorasi di quale Marca.
UGO III o UGUCCIONE, Duca di Spoleto e
Marchese di Camerino (1037-1043)-
Marchese di Tuxia (1044-1046); morto
Prima del 1056, sposò Berta, indi Villa.
RANIERI II (1059-1084), sposò Grilla
Contessa, a cui scrisse S.Pier Damiani.
RANIERO II (1081-1082), sposò Villa.
UGONE di Arrigo, sposò Adalgita, figlia
Del Conte Alberto, che in seconde nozze
Si unì con Sofia, vedova di Arrigo.
UGO (di Enrico), sposò Adelagita.
RANIERI III, di Ranieri II e Grilla,
Sposò Caterina detta Trotta.
RANIERI III, vivente nel 1090, sposò
Caterina Trotta.
Identiche omonimie si riscontrano anche negli alberi genealogici del Bandini, il quale, conoscendo con rara competenza i vari archivi di famiglia, ne ha scritto una storia dettagliata e documentata in tre grossissimi volumi rimasti manoscritti.
Tutto questo farebbe capire che i marchesi, cosiddetti di Colle (ora Collevecchio, nei pressi di S. Leo Bastia) deriverebbero da un ramo dei Marchesi di Toscana, i quali, dopo aver retto il Ducato di Spoleto, si sarebbero stanziati in Arezzo, poi in un territorio intermedio tra la Toscana, i contadi di Perugia, Città di Castello e di Gubbio, fino a formare un proprio feudo e comprendervi la zona di Monte S. Maria. Così si spiegano le decine e decine di nomi di castelli e di paesi da essi posseduti in queste località ed in quelle limitrofe. Comunque, risulta con certezza che qualche marchese resse il Ducato di Spoleto anche nei secoli dopo il mille, quando si era già iniziato il processo di ramificazione della famiglia. Un Uguccione, Marchese di Montemigiano, risulta appunto in un appello fatto dalla Canonica di Gubbio al Camerlengo della S. Sede nel 1278 contro di lui, “olim Ducatus Rectorem”.
Dal quadro sopra riportato si potrebbe inoltre dedurre, con una certa verosimiglianza, che, oltre a Ranieri I, preso dal Litta come capostipite della famiglia marchionale, si potrebbero aggiungere il padre suo Guido ed il nonno Ugo, inerenti i quali esistono ancora in archivio alcuni documenti.
Prosegue Ascani, partendo quindi da questo Ranieri, ecco la suddivisione e l’indicazione dei vari rami. Dopo questo Ranieri I, un Uguccione e due altri Ranieri (II e III), troviamo:

RANIERI IV, diede origine al ramo di Valiana, circa 1125, estinto poi con Guido, Saraceno ed i figli di Niccolò verso la metà del sec. XIV.

UGUCCIONE, fratello di Ranieri IV, originò nella stessa epoca il ramo dei Marchesi di Petrella, Petriolo e Civitella. Da questo ramo si staccarono:

RIGONE di Ugolino, che con investitura imperiale di Enrico VII ( 1312) formò il ramo specifico di Petriolo, estinto con la morte di Antonio nel 1443.

UGOLINO di Rigone che verso il 1273 fondò il ramo specifico di Civitella, estinto nel 1416 con la distruzione del Castello e l’uccisione d’Uguccione da parte dei Castellani. Restò, invece, il ramo di Petrella e tuttora esiste nella persona del Marchese di Petrella.
Dal ramo di Valiana, si staccò un Uguccione, Marchese di Montemigiano, il cui figlio

GUIDO conquistò nel 1250 il Castello di Monte S. Maria e concentrò nella sua famiglia, l’appellativo, nuovo, ma ormai perenne, dei Marchesi di Monte S. Maria.
Per linea di primogenitura si arriva a Giacomo (Iapeco), dei suoi tre figli, due soli sopravvissero: Cerbone e Ludovico, i quali per alcuni decenni continuarono a godere insieme l’eredità paterna, fino a quando:

CERBONE, dopo aver assassinato alcuni suoi parenti, restò unico Marchese al Monte S. Maria. Concesse però al fratello:

LUDOVICO, con pacifica divisione, il feudo di Reschio, con sede a Sorbello: Cerbone ebbe tre figli nei quali continuò il titolo di Marchese del Monte S. Maria e cioè:

FRANCESCO, che originò il ramo di Città di Castello, estinto nel 1829;

TADDEO, che tramite i figli di Gianfrancesco, diede origine a due rami di Firenze: quello di Bartolomeo, estinto nel nel 1860 e quello di GIANMATTIA, estinto con STEFANIA (Stephanie) Principessa BONCOMPAGNI LUDOVISI.
In questo ramo si ricorda Gianmattia di Gianfrancesco chè prestò servizio ai fiorentini nella guerra contro Carlo V e Clemente VII, fino alla caduta della Repubblica, passò poi al servizio di Guidobaldo della Rovere ed in seguito a quello di Giulio III che lo nominò Governatore di Castro. Dal matrimonio con Contessina dei Conti di Marciano nacque, fra gli altri Pompeo, Maggiordomo di Cristina di Lorena, reggente il Marchesato: Taddeo di Pompeo fu Gentiluomo di Camera nella Corte Toscana e Cavallerizzo del Cardinale Giancarlo de’ Medici. Orazio di Taddeo fu Grande Scudiero e Cavallerizzo Maggiore della Regina Cristina di Svezia e suo esecutore testamentario. A suo favore, la Regina dispose in eredità un cospicuo lascito con precedenza sulle altre disposizioni testamentarie . Gianmattia,suo figlio, fu anche Gentiluomo della Regina Cristina in questo ramo si estinse appunto la famiglia Monaldeschi della Cerbara ed in questo ramo passò il castello di Trevinano.

RANIERI, che, tramite Girolamo, diede origine, con un altro Ranieri al ramo dei Conti di Monte Baroccio, estinto nel 1664; e con Montino e Carlo suo figlio, diede origine ai Marchesi di Lippiano, ramo poi detto di Ancona, rappresentato dai Principi di S. Faustino per un breve di Papa Pio IX del 1861.

La grande famiglia di mille anni, di mille nomi. Ora non sopravvive che nei Principi di S. Faustino, nei marchesi di Petrella e nei Marchesi di Sorbello (in realtà Ranieri Bourbon del Monte).

Interessante è il fatto che il Marchesato feudale, indipendente, di origine imperiale di Monte S. Maria, che batteva moneta (il fiorino detto “montesco”) era retto dal più anziano della Famiglia, non importa di che ramo fosse, ed essendo tutti “marchesi”, il più anziano veniva definito “Reggente il Marchesato”. (Tale patto di famiglia al quale concorsero tutti i rami fu firmato nel 1532.
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ELENCO DEI REGGENTI IL MARCHESATO DI MONTE S. MARIA

I BONCOMPAGNI POI BONCOMPAGNI LUDOVISI, E (RAMO) BONCOMPAGNI LUDOVISI RONDINELLI VITELLI, PRINCIPI E MARCHESI DI BUCINE ecc. (1910)
L’ultima discendente diretta dei Bourbon del Monte S. Maria fu la Marchesa Stephanie, nata il 15.1.1888 figlia del Marchese Guidobaldo e di Carlotta Rosselli del Turco, morta quasi centenaria a Firenze il 4 maggio 1984. Aveva sposato il 17 aprile 1910, a Firenze, il Principe Don Paolo Boncompagni Ludovisi Rondinelli Vitelli dei Principi di Piombino, nato a Roma il 19 dic. 1886 e morto a Fontesegale (Umbertide - PG) il 16 aprile 1960, Marchese di Bucine e Cav. d’Onore e Devozione del Sovrano Militare Ordine di Malta, ricco discendente di questa antica, storica famiglia già sovrana nel Principato di Piombino e dell’Elba. Dal loro matrimonio nacquero sette figli: Giovanni (1911-1964), Guido (1917),Arimberto (1925), Jumara (1919), Imperia (1912-2003), Ippolita (Firenze 25 luglio 1916 - Castello di Trevinano 28 luglio 2001) sposata a Schivanoia (Citerna-PG) il 20 novembre 1947 con il Conte Antonio Naselli dei Duchi di Gela, morto al Castello di Trevinano il 28 luglio 1961, ed Agnese (Firenze 5 febbraio 1921 - Castello di Trevinano 25 agosto 2003). Ad ognuno di essi venne dai genitori, assegnata una grande proprietà terriera. La tenuta di Trevinano di circa 3000 ettari con 36 case coloniche venne divisa ed assegnata alle due sorelle Ippolita ed Agnese, formando due distinte amministrazioni: la tenuta di “Trevinano della Monaldesca” toccata ad Agnese e “Trevinano Elvella”ad Ippolita.
Fra la prima e la seconda guerra mondiale il Principe Paolo e la Principessa Stephanie, venendo incontro alle pressanti richieste politiche e degli abitanti, cedettero a prezzo simbolico, o regalarono le singole case del Paese ai rispettivi abitanti, case quasi tutte piccole e da restaurare, che i rispettivi proprietari provvidero man mano a rimodernare e dove possibile, ingrandire. Furono dati ai paesani anche appezzamenti sotto la balza che riuscirono a ricavarne orti e vigne. Si racconta in famiglia che Mussolini, Capo del Governo consigliò di dare le abitazioni ai Trevinanesi…”…è incredibile”, pare esclamasse; “che Ella , Principessa, sia ancora proprietaria di tutte le case del Paese!”.
Le tre campane della Chiesa Parrocchiale furono donate nel 1925, con la costruzione e restauro del campanile danneggiato dal terremoto del 1919. (Le due campane precedenti erano datate 1535 del peso di 500 libbre, e 1731 del peso di 200 libbre). L’altezza del campanile era conforme ai limiti imposti per le zone sismiche. L’inaugurazione delle campane avvenne il 29 giugno 1926, onomastico del donatore, e furono “battezzate” secondo il rituale, con i nomi di:

MARIA - corrispondente alla nota ”LA”. Peso Kg 400 padrino il Principe Paolo e Madrina la Principessa Stephanie, Marchesa Bourbon del Monte.
LORENZA - corrispondente alla nota “SI”. Peso Kg 300. Padrini i suddetti coniugi.
CATERINA - corrispondente alla nota “DO”. Peso Kg 200: Padrino il Principe Paolo e madrina la Principessa Imperia Boncompagni Ludovisi. Il Principe Paolo si indignò pesantemente, quando seppe che le campane, oltre al loro nome avevano inciso quello del parroco: Don Annibale Mencarelli.
Le campane rischiarono di essere fuse durante l’ultima guerra con comunicazione al parroco (28 giugno 1943) da parte del Ministero della Produzione Bellica Si sarebbero dovuti consegnare 540 Kg di bronzo su un totale complessivo di 900 Kg. Il precipitare degli eventi ritardò la demolizione e fu causa di salvezza delle campane, tuttora vibranti al cielo i propri toni argentini.

LE ORIGINI DELLA FAMIGLIA
La storia del medioevo è piena di racconti e leggende che spesso hanno fondamento sulle tradizioni e sulla immaginazione popolare; molte volte sono intrecciate con la storia vera. Spesso, potenti famiglie della nostra terra italiana trassero origine da esponenti fedeli o stretti congiunti di dominatori Longobardi, Franchi, Carolingi, Aragonesi, Spagnoli, lasciati da re od imperatori a sorvegliare le conquiste. Essi ebbero, spesso, prole e stabilendosi definitivamente nella nuova patria dettero origine a numerose famiglie. Vi furono, naturalmente variazioni di cognome dovuti all’uso della denominazione patronimica, al soprannome identificativo, al luogo di origine geografico, ai mestieri effettuati, alle fazioni politiche sostenute, alla figura dello stemma innalzato. Ci fu necessità di distinguere vari ceppi, i diversi rami di una stessa discendenza….nacquero le famiglie…, sorsero i cognomi secondo la terminologia moderna… e… tutto il precedente restò nei ricordi.
L’antica e potente famiglia dei Boncompagni, che ha lasciato in varie regioni d’Italia segni di passaggio, è fra queste e non è esente da leggende o tradizioni circa le sue origini. Lasciando da parte le diverse opinioni scritte da numerosi storici, riferiamo qui solamente la più comune, che è anche quella quasi universalmente accettata.
Secondo tale tradizione si ritiene che la famiglia Boncompagni (Buoncompagni, in antico) debba discendere da quella degli antichi Dragoni che fioriva nobile e potente nell’Umbria, e precisamente ad Assisi, al tempo di Ottone I Imperatore dei Romani (980) ed alla fine del sec. XI.
Tra i molti documenti sull’origine dei Dragoni, andrà nominato un manoscritto conservato a Spoleto nell’archivio del conte Carlo Bandini che li faceva derivare da Liutolfo della stirpe dei Duchi di Sassonia il quale come segno di intimità veniva chiamato “consanguineo” dallo stesso imperatore.
Questa è in breve, la tradizione leggendaria che molti genealogisti portano sull’ origine della famiglia citando, di tanto in tanto documenti che ne avvaloravano l’asserto. Nulla di certo, quindi, ma partendo dall’idea che in tale tradizione possa esserci qualche verità, si possono trarre argomentazioni e riflessioni successive.
Gli annali bolognesi fanno menzione di un Dragone Boncompagni che all’inizio del sec. XIII viene qualificato “cittadino nobile bolognese” e che fu mandato dai suoi concittadini come Ambasciatore al vescovo di Bologna per questioni inerenti il Castello di Capreno. Tale appellativo di “Dragone”, aggiunto al suo nome che era Diaterno, dato ad uno dei primi discendenti della casa Boncompagni di Bologna potrebbe testimoniare che allora rimaneva viva e sicura la memoria che la primitiva casa Boncompagni avesse discendenza da quella che anticamente veniva nominata de’Dragoni (Dragonibus); lo stesso stemma di un drago alato, nei colori rosso ed oro (colori allora, per consuetudine riservati ai membri della casa imperiale: il rosso della porpora e l’oro come metallo più nobile) può attestare la tradizione, ripresa da alcuni storici che fosse derivato dall’emblema di Ottone I che, come dice il Gamurrini, aveva tre mezzi dragoni d’oro su campo rosso.
Nel confronto fra le varie linee della famiglia Boncompagni, viventi in luoghi diversi della penisola potremmo fare raffronti, considerazioni e dedurne che il nome di “Boncompagno” viene ripetuto molto frequentemente, quasi da ravvisare in esse un certo nesso di affinità ed unità, come derivanti da uno stipite comune.
Tralasciando le prime tradizioni leggendarie e cercando prove più veritiere, furono esaminati gli scritti, anche i più antichi, presenti nei diversi archivi di Bologna e di altre città e molti di essi riconoscono la discendenza della casa Boncompagni da quella dei Dragoni. Gli studi del Ghirardacci, del Dolfi, di Annibale Gozzadini, di Valerio Rinieri, del Gamurrini, Matteo Buonvicino, Willelm Imnoft, Gamberti, Litta. Fornasini (che studiò a fondo l’argomento) ed altri studiosi e scrittori che hanno conferito serietà alla loro ricerca storica, tutti o quasi, concordano con questa origine od almeno la danno per estremamente probabile.
Il primo Dragoni che viene nominato è Luitolfo che è padre di un Boncompagno (tale Luitolfo potrebbe essere nipote di Luitolfo figlio di Ottone I, fiorente nel 980) dalla cui discendenza venne un Rodolfo che nell’anno 1133 fu investito della Signoria di Assisi con il titolo di Conte dall’imperatore Lotario II. Seguono, poi cronache più particolareggiate le quali indicano che Lotario II detto il Sassone, quando venne in Italia per ricevere la corona, il 4 giugno del 1133, investiva nella Signoria di Assisi. Il conte Rodolfo come consanguineo e discendente dai Duchi di Sassonia. Tale opinione viene riferita anche da storici umbri che asseriscono “vedersi negli archivi della Abbadia di Firenze che della famiglia Dragoni vi fu Donna Guida che a Viterbo sposò Ugone di Chiaromonte del sangue e della linea capetingia di Francia”. Il Dolfi ,che riporta il fatto nella sua cronologia delle famiglie nobili di Bologna, asserisce che sull’argomento vi è un documento trovato da Giovanni Bini nel raccogliere le notizie antiche della città. Molti autori, poi dal Guidicini al Carrati, sono concordi nel tracciare l’albero genealogico dei Dragoni conformandosi anche a quanto dice Gian Francesco Negri nel suo studio sulle crociate dove cita Federico e Paolo Dragoni, capitani d’arma che nel 1096 si misero al seguito di Goffredo di Buglione, principe della casa Lotaringia per la conquista di Gerusalemme dietro incitamento di Pietro l’Eremita.
Dal conte Rodolfo, primo Signore di Assisi, fanno discendere Paolo, suo successore nella contea e padre di cinque figli. Che si trasferirono fuori della loro patria, probabilmente soccombendo nella lotta fra fazioni all’interno della città; quattro di essi diedero origine a tante linee della loro famiglia che presero nome dalle città in cui posero la nuova dimora e prosperarono.
Di essi Rodolfo, secondo di tale nome, diede origine alla linea dei Duchi di Spoleto; Boncompagno alle linee di Visso e di Foligno, Riniero fondò la linea di Arezzo, Dragone fu Vicario Imperiale per l’Umbria, morì senza discendenza ed infine un GIOVANNI dal quale discesero i Boncompagni di Bologna che diedero un Papa : Gregorio XIII, vari Cardinali alla Chiesa, e furono Principi Sovrani di Piombino e dell’Elba fino al Congresso di Vienna del 1815.
Tutte le linee appaiono ricche perché, appena arrivate nelle loro nuove sedi,comprano terreni, edificano palazzi, alcuni dei quali ancora esistenti..il che dimostra una origine comune e dovizia di beni precedenti. Non è specificato però se il Boncompagno, uno dei figli del Conte Paolo, nel trasferirsi a Visso, abbandonò il cognome Dragonibus (Draconibus o Dragoni), per assumere definitivamente quello dei Boncompagni, modificando l’antico stemma della famiglia di provenienza, che recava tre mezzi dragoni d’oro su campo rosso per assumerne uno solo che poneva in campo rosso.
Si ritiene che il cambiamento del nome e dello stemma non sia originato da una decisione specifica del Boncompagno stesso, ma dall’uso comune dell’epoca e dell’abitudine.
La città che gli accolse, più comunemente li chiamò “i Boncompagni” perché figli del Boncompagno, e così l’uso e l’abitudine fecero dimenticare l’antico cognome. L’uso, quindi, generalizzato per tutti i figli nati dallo stesso ceppo determinò il cognome delle successive discendenze.
Il fatto dell’esodo di tutti i figli del conte Paolo (fratello o figlio di Rodolfo) da Assisi senza che nessuno restasse per esercitarne la Signoria od il comando, suggerisce poi, che tale diaspora avvenisse non per desiderio di espansione ma fosse dovuta al fatto che tutti i fratelli fossero costretti a partire con le proprie famiglie per qualche evento specifico probabilmente identificabile in sommossa o lotta di fazione molto comune in quei tempi. Si ritiene, quindi che secondo quanto asserito dagli storici possa essere formata la seguente genealogia:
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Una versione un po’ diversa, invece viene data da un documento presso l’archivio del Conte Carlo Bandini di Spoleto, citato dal Fornasini, che modificherebbe in parte l'albero genealogico qui descritto: è da evidenziare, comunque, che pur essendo una versione leggermente diversa e con rami diversi, resta immutato nello spirito il tradizionale racconto della partenza da Assisi con conseguente divisione in varie linee diverse. Il documento Bandini, dopo aver accennato alle primitive origini della famiglia Dragoni indica (come dice Fornasini nel 1934) un Boncompagno Dragoni che abbandona la patria per portare la famiglia a Visso ed attribuisce al detto Boncompagno il cambio del cognome e dello stemma avvenuto in tale occasione.
Seguita poi il documento raccontando come i figli di lui a nome PIETRO e FEDERICO, valorosi soldati, incitati da Pietro l’Eremita, seguirono nel 1097 Goffredo di Buglione alle crociate e vennero citati dal Consalvo nella vita del grande Goffredo. Dopo un’ assenza di vari anni fecero ritorno in Italia e si stabilirono a Visso, costruirono un Castello che divenne centro e presidio della regione, acquistarono prestigio e preminenze e furono sempre riconosciuti Signori non solo di quel castello, ma di tutta la zona e giurisdizione di Visso. Secondo tale versione fu appunto dalla sede di Visso che i figlioli del Conte PAOLO, già ricchi per patrimonio paterno, e successivamente divenuti ancora di più, desiderosi di espandersi altrove, emigrarono con le proprie famiglie in altre città.
La versione continua che il figlio GIOVANNI nel 1140 da Visso si trapiantò in Bologna, e da esso per successione diretta, derivò la linea del Pontefice Gregorio XIII.
Il primogenito, invece che viene qualificato con il nome di Pietro, rimase ad abitare a Visso, e diede origine alla linea che si denomina di Foligno, riconosciuta consanguinea da Gregorio XIII nella seconda metà del ‘500, ed i cui esponenti il 2 maggio 1401 furono creati da Papa Bonifacio IX, Conti di Rocca Macereto.
Agnese Borghese, moglie di Rodolfo Boncompagni Ludovisi, alla fine del sec.XIX e nei primi anni del 1900 amò e studiò molto la storia della famiglia del marito ed a conferma delle tradizioni che dicono i Boncompagni originari di Assisi, trovò ivi una antica lapide sepolcrale con il drago Boncompagni.

Papa Bonifacio IX nel suo diploma datato 2 maggio 1401 (VI kal. Maj) (Arch. Ap. Vaticano Regesto Later. N. 89 fol. 12) nomina conti di Rocca Macereto (Visso) i due fratelli Bante ed Apollonio figli di Cataldo Boncompagni ed asserisce essere a conoscenza che i loro primogeniti di lì traevano origine e che, per la loro industria e diligenza, molte di quelle terre erano diventate fertili e feconde, e vi avevano preso dimora molte genti provenienti da altre regioni: Perciò, a decoro di quella terra, volle concedere ai due fratelli, tale titolo.

Come è stato detto di tramanda che Giovanni fratello di Boncompagno, figlio del Conte Paolo, andasse ad abitare a Bologna nel 1160 circa e portasse già il nuovo cognome, recando l’insegna del mezzo drago alato d'oro in campo rosso, che divenne poi lo stemma di famiglia. Altri studiosi proseguono scrivendo che da questo Giovanni nacque un Boncompagno a sua volta padre di Paolo che fu padre di Giovanni, il quale generò Paolo che ebbe Giacomo a sua volta padre del Boncompagno ricevuto notaio nel 1243.

In realtà vari Boncompagni sono citati in Bologna come possessori di palazzi, beni terreni e considerevoli fortune, dal 1160 al 1243, tutti con gli stessi nomi citati dagli storici ma in realtà la discendenza diretta, provata con atti notarili e documentata in ogni generazione, è quella proveniente da BONCOMPAGNO di GIACOMO, notaio da Castel de’ Britti (manoscritto Carrati B.654, pag 7, Biblioteca di Bologna) che nel 1243 al tempo di Azzone di Provaglia, Podestà di Bologna, fu esaminato e ricevuto notaio. È, infatti, a Castel de’ Britti, confinante con il Castello di Pizzocalvo, che i libri della Camera degli Atti di Bologna concordano nel trovare le prime tracce della Casa Boncompagni di Bologna.
Sia a Castel de’ Britti, che a Pizzocalvo, frazioni del comune di S. Lazzaro di Savena, a pochi chilometri da Bologna, sono presenti abbondanti terre e beni citati in atti del XIII sec., tramandati di generazione in generazione e proprietà fino a tutto il sec. XVI. Lo stesso Pontefice Gregorio XIII, da Cardinale, possedeva ivi parte dei terreni. Risulta così la linea Bolognese dove il capostipite Giovanni avrebbe per figlio un GIACOMO, Padre di un BONCOMPAGNO che risulterebbe già morto nel 1259, mentre i suoi figli ed eredi verso la fine di quel secolo li troviamo già domiciliati e fatti cittadini di Bologna.
Dice il Fornasini: “Se volessimo qui elencare tutti quelli che si nominano figli di Boncompagno, ci risulterebbe una generazione tanto feconda da passare alla storia per l’esuberante numero dei suoi nati. Dobbiamo, perciò, ricordare, che vi saranno intramezzati, di certo, anche i figli degli altri Boncompagni elencati; e perciò, nella nostra disamina cercheremo di scegliere quelli, che ci danno una tale sicurezza, che gli possano appartenere.
Come figli del Boncompagno suddetto possiamo riconoscerne almeno undici, per la stretta attinenza che essi hanno con le origini della casa Boncompagni da Castel de’ Britti e di Pizzocalvo.
Tra di essi hanno nome uno Clariolo o Graciolo, Diaterno ed Albricio, chiamato altre volte Alberto, Albertinello ed anche Ubertinello. Forse sono anche i più giovani e sono nominati nel testamento del Padre, fatto per rogito di Bolognetto Guidotti notaro, nel quale li istituisce suoi eredi universali, con l’obbligo di consegnare a sua figlia Francesca la somma di lire 200, la quale , poi dichiara di averla ricevuta e ne fece l’assoluzione il 14 gennaio del 1283.e, poiché questi furono i figliuoli citati nel testamento paterno, noi vorremmo trovare ragione principale della assoluzione degli altri figli in ciò, che gli altri figliuoli erano già stati emancipati dal padre, ed avevano ottenuto la loro parte di capitale, quando erano usciti dalla casa paterna per formare una nuova famiglia. Infatti i due fratelli Giovanni e Giovannino, comunemente riconosciuto con il nome di ZANINO, i due che più interessano degli altri , specialmente il secondo dal quale è derivata la linea di Papa Gregorio XIII, erano già passati ad abitare a Bologna, in strada Maggiore; l’uno sotto la Cappella di S. Tommaso della Braida e l’altro sotto S. Maria del Tempio detta della Magione.
Vissero ambedue al tempo della guerra fratricida che afflisse la patria con i due partiti che si dissero dei Geremei e dei Lambertazzi, ed ambedue parteciparono a dette contese, divisi, però di partito.Giovanni fu seguace dei Lambertazzi, e quando venne a soccombere questo partito, anche egli dovette esulare dalla città negli anni 1277 e 1278.
Zanino ,invece, teneva per la parte dei Geremei: Quando nell’anno 1277 gli venne imposto l’onere militare con l’assegnazione di un cavallo, perché compreso tra i colpiti dell’ assignatio equorum per il limite dell’imponibile, che egli raggiungeva, fu erroneamente iscritto come uno dei Lambertazzi, forse scambiato con il fratello suo. Potè poscia, provare di aver montato il cavallo suddetto e di aver preso parte alle cavalcate dell’anno citato essendo “de societate balzanorum”.
All’atto verbale della sua dichiarazione potè presentare anche il documento della sua iscrizione a detta società, fatto a rogito di Pasio della Braida, notaro”.

Da ZANINO I nacque PIRINO, sposato con Misina dal Ponte. Nel 1347 fu ascritto al Consiglio generale della Repubblica di Bologna e nel 1351 fu Magistrato degli Anziani.
PIETRO, suo figlio, sposato in prime nozze con Villana Bertucci, ed in seconde con Guardina di Gerardo de’ Cattani di Montevogli, fu dottore in diritto nel 1372, fu Governatore di Bertinoro per la Chiesa nel 1384, fu lettore di legge nello studio pubblico, nel 1386 fu Ambasciatore per la Repubblica e nel 1388 fu fra gli Aggiunti al Consiglio Generale. Morì il 24 ottobre 1408; ai suoi funerali furono. “d’onore” il Capitolo di S. Pietro, i frati di S. Giacomo e quelli di S. Martino nella cui chiesa esisteva il sepolcro di famiglia.
GASPARO, suo figlio, fu ricco possidente e sposò Giacoma di Romeo Bucchi, premorì al padre ma ebbe progenie e fu padre di GIACOMO eletto nel 1506 al Magistrato dei XX, Organismo istituito con ampia autorità dalla repubblica di Bologna nel momento in cui Giovanni II Bentivoglio fu obbligato ad abbandonare la patria di cui era Signore. Entrato Giulio II in Bologna, ed avendo istituito il Governo, Giacomo vi fece parte in qualità di “Massaro” (capo) dell’Arte dei Merciai.
Era nemico dei Bentivoglio e partigiano della Chiesa. Sposò Scolastica di Arcangelo Banzi.
Giacomo generò CRISTOFORO (Padre di Papa Gregorio XIII) nato il 12 luglio 1470, fu protetto dalla Corte Pontificia di cui tenne sempre le parti, nonostante gli sconvolgimenti politici dei suoi tempi.Incrementò molto le ricchezze della famiglia essendosi applicato con buona fortuna a speculazioni commerciali. Nel 1538 edificò un sontuoso palazzo che fu terminato dai figli. Nel 1533 fondò anche una Cappella nella Chiesa di S. Martino Maggiore dei Carmelitani, affrescata con buone pitture. Gregorio XIII l’8 gennaio 1577, anniversario della morte, con breve speciale dato “Apud Sanctum Petrum” la arricchiva di copiose indulgenze in suffragio dei defunti. Fu restaurata dai suoi discendenti ed abbellita come ricordano alcune lapidi ivi esistenti.
Cristoforo, oltre al palazzo in città costruì anche le ville alla Cicogna ed a Pizzocalvo.
Sposò Angela di Ludovico Marescalchi di antica famiglia bolognese. Morì l’ 8 gennaio 1546 (od il 3 giugno 1546 secondo altre fonti). Giorgio figlio di Cristoforo e fratello di Gregorio XIII nato nel1498: Monaco dell’Ordine di S.Benedetto della Congregazione del Monte Oliveto, professò nel monastero di S. Michele in Bosco di Bologna di cui fu anche Cellerario e poi anche Abate, unitamente ai suoi colleghi Vincenzo Boccadiferro e Taddeo Pepoli. Si occupò per rendere di pubblico uso fonti e sorgenti d’acqua che nascevano nel Monastero degli Olivetani di Scaricalasino.
Morì in opinione di santità nel 1543.

Giacoma Boncompagni, sorella di Gregorio XIII, sposò due volte: prima Teodoro Garisendi e poi Angelo Michele Guastavillani. Suo figlio Filippo Guastavillani fu creato da Gregorio XIII nel 1572, Cardinale Diacono, nipote.

Con la Elezione al Soglio Pontificio di UGO (1502-1585) con il nome di GREGORIO XIII (1572) la famiglia dall’ambito italiano divenne nota a livello mondiale. Gregorio XIII circa dieci anni prima di prendere i voti ebbe un figlio JACOPO (Giacomo, Jacomo, o Jacobo ) riconosciuto immediatamente da lui con atto del Vescovo Campeggi e poi confermato dopo la sua elevazione alla Cattedra di S. Pietro.
Da questo suo figlio JACOPO derivano tutti i Boncompagni Ludovisi odierni. Non dilunghiamo qui, sulla storia dettagliata della famiglia per la quale numerosi testi citati in bibliografia (vedi dopo) ne discutono ampiamente, ci limitiamo in questa sede ad identificare alcuni punti salienti:
JACOPO fu creato Marchese di Vignola nel Modenese nel 1578, Duca di Sora nel 1580, Duca di Arce nel 1583, Patrizio di Venezia, 1573,, Signore di Aquino, Arpino e Roccasecca, sposò COSTANZA SFORZA figlia del Conte Sovrano di S. Flora e nipote (ex filia) di COSTANZA FARNESE figlia di Papa PAOLO III. Nel 1681, con Capitoli matrimoniali fu unito il cognome LUDOVISI con obbligo di utilizzarlo in perpetuo, in occasione del matrimonio di GREGORIO BONCOMPAGNI Duca di Sora ed Arce, marchese di Vignola (1642-1707) con IPPOLITA LUDOVISI, ultima di sua Casa ed erede del Principato Sovrano di Piombino e dell’Elba, con diritto di voto alla Dieta dell’Impero, diritto di utilizzare la Corona Regia aurea, battere moneta, creare nobiltà e notai validi per tutto l’Impero e creare Cavalieri Aurati (Speron d’Oro) per delega Imperiale. I nuovi Sovrani erano, quindi, a pieno diritto, Principi del Sacro Romano Impero. Ippolita portò in dote anche il Principato di Venosa, con 40 castelli, su cui insiteva la Grandezza di Spagna di Prima Classe, il Marchesato di Populonia e la Contea di Conza. Ippolita era figlia di Niccolo LUDOVISI Principe Sovrano dal 1634 a sua volta nipote di Papa Gregorio XV (Alessandro Ludovisi) - Papa dal 1621 al 1623.
Da GAETANO BONCOMPAGNI LUDOVISI, III Principe Sovrano di Piombino e del Sacro Romano Impero, Grande di Spagna nel 1739 proviene l’attuale Famiglia alla quale Papa Pio VII nel 1814 concesse anche il Ducato di Monterotondo.
La indipendenza dello Stato durò per più di 500 anni. La sovranità dello Stato di Piombino iniziò nel 1300 come Signoria Imperiale degli Appiani, fu eretto in principato nel 1594 e durò come principato indipendente per più di 200 anni fino al Congresso di Vienna (1815). L’art. 100 dell’Atto Finale ne disciplina gli accordi con i quali i beni demaniali dello Stato furono venduti al Granduca di Toscana, fratello dell’Imperatore, garante la Corte austriaca. Il Principe di Piombino mantenne per sé e per i suoi successorii il titolo, il rango e le prerogative e per tutti gli altri discendenti il titolo di Principe, con il trattamento di Altezza Serenissima per maschi e femmine da parte dell’ Impero o di “Eccellenza” secondo le consuetudini romane e Vaticane. Nel 1854 la famiglia fu ascritta come “Principesca Romana”.
Il principe Francesco Boncompagni Ludovisi, capo della casata, ebbe dalla Regia Consulta Araldica del Regno d’Italia, il riconoscimento dei seguenti titoli:
- Principe di Piombino, Principe del Sacro Romano Impero, Principe Boncompagni Ludovisi, coscritto, Principe di Venosa (refutato a favore del figlio secondogenito Principe Alberico Boncompagni Ludovisi) Duca di Sora e di Arce, Duca di Monterotondo, marchese di Populonia, Marchese di Vignola, Conte di Conza (maschi primogeniti).
- Principe (derivazione Romana), Principe (derivazione Toscana), N.U. e N.D., Patrizio Veneto, Patrizio di Orvieto, Nobile Romano, Nobile di Rieti, Nobile di Jesi, Nobile di Foligno (maschi e femmine)
- Patrizio Napolitano, Patrizio di Ravenna, Patrizio di Bologna (maschi).
- RICONOSCIMENTO DELLO STEMMA: ”Troncato, nel primo dei Boncompagni, di rosso al collo di drago spiegato d’oro e nel secondo dei Ludovisi che è di rosso a tre bande d’oro, ritirate e scorciate in capo”.

Non fu chiesto il riconoscimento di tutti i titoli, perché vi era una tassa molto alta da corrispondere per ogni titolo. Furono, quindi evidenziati solo quelli più importanti spesso riunendoli fra di loro per pagare una sola volta (es. Ducati di Sora e di Arce feudi ottenuti in epoche diverse ed oggetto di due Ducati distinti e separati).

Nel corso dei secoli oltre alla storica ed importante Famiglia Ludovisi che annoverò Alessandro eletto Papa GREGORIO XV (1621-1623) si estinsero ed innestarono nei vari rami, altre storiche ed importanti famiglie surrogate e continuate in quella del marito:
- Ottoboni, Duchi di Fiano, con il matrimonio di Pier Gregorio Boncompagni Ludovisi dei Principi di Piombino con Maria Francesca Ottoboni , nipote di Papa Alessandro VIII ed ultima di sua Famiglia (1731).
- Rondinelli Vitelli, Marchesi di Bucine, con il matrimonio di Isabella Rondinelli Vitelli erede delle due antichissime famiglie toscane ed umbre, con il Principe Luigi Boncompagni Ludovisi dei Principi di Piombino, Senatore del Regno (1881).
- Altemps, Duchi romani, con il matrimonio di Donna Angela Altemps, nobile romana figlia del Duca don Alessandro Altemps, con il Principe don Paolo Francesco Boncompagni Ludovisi dei Principi di Piombino, membro della Consulta dei Senatori del Regno (1971). Gli Altemps, nipoti di Papa Pio IV (Medici di Morignano) e di S.Carlo Borromeo erano Conti Sovrani di Hohen-emps e vendettero Vaduz ai loro cugini Liechtenstein. Il Cardinale Marco Sittico tradusse il cognome in latino e fu chiamato Cardinal ab-Alto-emps (Altemps).

Oltre ai sunnominati Papi, la famiglia ebbe parentele ex sanguinis con tutti i più importanti Papi dell’epoca, Innocenzo X, Alessandro VII, Alessandro VIII, Innocenzo XII, Paolo V, Leone X, Benedetto XIII, Innocenzo XI, Martino V, e per matrimonio, oppure discendenza diretta, femminile, strinse legami con le più importanti famiglie dell’epoca: Savoia, Farnese, Medici di Firenze, Este, Gonzaga, Paleologo del Monferrato, Sforza, Sforza Cesarini, D’Alviano, Massimo, Chigi, Odescalchi, Ruffo, Borghese, Colonna, Panphilj, Barberini e Barberini Colonna, Rezzonico, Altieri, Ruspoli, Salviati, Trivulzio, Ottoboni, Aldobrandini, Pallavicini, Altemps, Massimo, Aragonesi, Hohenstaufen, Svevia, Montefeltro, della Rovere, Vitelli e Rondinelli Vitelli, Aldobrandini, Pepoli, Aldovrandi, Guastavillani, Garisendi, Bourbon del Monte, Borromeo, Malvezzi, Cattaneo della Volta, Pepoli, Caracciolo, Tolomei, Serbelloni, Carafa, Rospigliosi e Rospigliosi Pallavicini, Orsini, Giustiniani e Giustiniani Bandini, Archinto, Gavotti, Ancillotto, Gradenigo, Pucci, Baciocchi, Taverna, Brandolini d’Adda, Campello, S.Martino e Valperga, ecc.

Rivestirono la porpora cardinalizia: FILIPPO (1548-1586) Cardinale Nipote, FRANCESCO, Arcivescovo di Napoli (1596-1641), GIROLAMO Arcivescovo di Bologna (1622-1684),GIACOMO, Arcivescovo di Bologna (1653-1731) IGNAZIO, Segretario di Stato di Papa Pio VI (1743-1790), LUDOVICO Ludovisi Segretario di Stato di Papa Gregorio XV (1595-1632) NICOLO’ Ludovisi (n. 1608) oltre ad altri Arcivescovi.

La famiglia fu insignita con sei decorazioni del “Toson d’Oro”, numerosi “Saint Esprit”, “San Gennaro”, Ordini imperiali Austriaci, Toscani, Napoletani e di altre potenze estere.

Attualmente, la Famiglia è composta di due rami originati dal matrimonio di Rodolfo Boncompagni Ludovisi, Principe di Piombino, (nato a Roma 6.2.1832 - morto a Roma 12.12.1911) con Agnese dei Principi Borghese (nata a Roma 5.5.1836 - morta a Roma 22.3.1920):
- Ramo Primogenito: Principi di Piombino, Principi di Venosa ,Duchi di Sora e di Arce,ecc.
- Ramo Secondogenito: Principi, Marchesi di Bucine, ecc.
(autorizzato ad aggiungere al cognome Boncompagni Ludovisi quello Rondinelli Vitelli).
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Marchesa Carlotta Bourbon del Monte Rosselli del Turco Marchesa Carlotta Bourbon del Monte Rosselli del Turco
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Principe Paolo Boncompagni Ludovisi Principessa Stephanie Boncompagni Ludovisi
Marchesa Bourbon
Principe Paolo Boncompagni Ludovisi
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Principessa Agnese Boncompagni Ludovisi Principessa Agnese Boncompagni Ludovisi
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Principe Arimberto Boncompagni Ludovisi
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Principe Paolo Boncompagni Ludovisi
con il nipote Paolo Francesco
Principe Arimberto Boncompagni Ludovisi
con il figlio Paolo Francesco
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Principe Paolo Francesco Boncompagni Ludovisi Principe Paolo Francesco Boncompagni Ludovisi
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Principe Paolo Francesco Boncompagni Ludovisi Principe Alessandrojacopo Boncompagni Ludovisi
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